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09 Ottobre 2025
Articolo a cura della giornalista Daniela Fuganti sulla storia del tumore del seno
Condividiamo questo articolo scritto da Daniela Fuganti, collaboratrice di "ARCHEO" e corrispondente di "ARCHĖOLOGIA" in Francia, e pubblicato nella rivista "Archeo" nel mese di ottobre 2024.
Nello scorso ottobre il Colosseo si è tinto di rosa, per una notte, e sul monumento correva la scritta «La Prevenzione è il nostro capolavoro», slogan di Komen Italia, l’associazione no profit per la ricerca sui tumori al seno, affiliata alla casa madre statunitense creata a Dallas nel 1982, per iniziativa di Nancy G. Brinker, in memoria della sorella, Susan Komen, scomparsa prematuramente appunto a causa di un cancro alla mammella.
«L’arte si mette al sevizio della prevenzione – ha commentato nell’occasione Alfonsina Russo, direttrice del Parco Archeologico del Colosseo – e noi vogliamo dare il nostro contributo a una campagna di informazione fondamentale per la guarigione di milioni di donne».
«Il seno – spiega il professor Riccardo Masetti, fondatore di Komen Italia e direttore del dipartimento di chirurgia senologica al Policlinico Gemelli di Roma – è la parte piú delicata e simbolica dell’identità femminile: per questo il tumore alla mammella ha una valenza particolare nell’ambito dell’oncologia e la senologia va considerata come la piú umana delle discipline mediche».
In effetti, i tumori non sono nati, come molti credono, con la civiltà moderna. La loro cura ha sollecitato l’ingegno e la fantasia di medici e guaritori in tutti i tempi. La prima descrizione di cancro alla mammella compare in Egitto, ed è contenuta nel Papiro Edwin Smith (1600 a.C.) – un vero trattato chirurgico –, che descrive otto casi di tumori e ulcere alla mammella rimossi mediante cauterizzazione con uno strumento chiamato sonda di fuoco.
Apprendiamo dal Papiro Ebers (1500 a.C.) – il piú esteso testo sanitario allora conosciuto – che gli Egizi conoscevano piú di 320 malattie e 180 farmaci.
Il prezioso documento racconta come in quel periodo esistesse una gerarchia medica definita, con tre categorie ben distinte: medici, chirurghi e guaritori. La formazione dei medici avveniva presso le «case della vita», poste vicino ai templi e alle biblioteche. I medici si dovevano attenere alle pratiche tradizionali e si rifiutavano di trattare i malati terminali. Contro tumefazioni infiammatorie e tumori maligni alla mammella, il Papiro Ebers consiglia incisioni, medicamenti e trattamenti magici.
Gli Egizi conoscevano i mezzi per praticare una sorta di anestesia con una speciale pietra estratta vicino a Menfi che veniva ridotta in polvere e applicata sulla parte dolorante.
Venivano usati a scopo anestetico, anche gli effetti sedativi della polvere di carrubo, del coriandolo e dell’oppio. Sembra inoltre che gli Egizi si servissero del pane ammuffito contro le infezioni perché risultava efficace per la sua azione antibiotica!
«Esiste una malattia che divora i tessuti», si legge a proposito del cancro, sul Papiro Kahun (1800 a.C.), il piú antico compendio di ginecologia finora ritrovato in Egitto. Nella prima traduzione, pubblicata in Inghilterra, la versione riporta i termini dell’anatomia femminile in latino invece che in inglese, perché ritenuti poco consoni al lettore.
«Se il dolore è posizionato fra l’ombelico e le natiche» è dichiarato incurabile. Si parla anche di stupro (paragrafo 2: «una donna sofferente nelle parti intime e che sia stata maltrattata»), anche se la prescrizione di assumere olio di oliva per bocca fino alla guarigione, lascia perplessi. Accanto ai sistemi per facilitare la gravidanza (incenso, olio fresco, datteri e birra), abbiamo anche i contraccettivi: escrementi di coccodrillo sciolti in latte acido, oppure l’inserimento in vagina di un tampone con miele, spine di acacia tritate e natron (indicato come efficace per uno, due o tre anni). E in effetti le spine di acacia contengono acido lattico,
tuttora usato per creme e gelatine contraccettive!
Il metodo per determinare se una donna fosse fertile – l’inserimento di una cipolla in vagina per una notte, controllando se l’alito sappia di cipolla il giorno seguente – fu ripreso da Ippocrate ben 1500 anni
piú tardi. Oltre ai sistemi piú bizzarri, la fumigazione della vagina era molto praticata: si prescrive di sottoporre «le parti in questione» al fumo di carne arrostita o di una miscela di incenso grasso birra e
datteri per favorire la fertilità e risolvere i problemi ginecologici.
Non esistevano tracce archeologiche di questo tipo di trattamento fino al 2016, quando una équipe spagnola portò alla luce nella necropoli di Qubbet El-Hawa il sarcofago di Sattjeni, una nobildonna vissuta nella XII
dinastia (1800 a.C. circa). Sattjeni aveva il bacino fratturato, che le provocava forti dolori. E fra le sue gambe, vicino alla zona pelvica, era stata deposta una ciotola in ceramica con evidenti segni di bruciature, compatibili con le fumigature che avrebbero mitigato le sue sofferenze anche nell’aldilà...
Solo nel V secolo a.C., con Ippocrate e la scuola medica di Coo (sua isola natale), si giunge a una descrizione piú precisa del cancro e una sua prima classificazione. La teorizzazione dei quattro umori del
corpo – bile nera, sangue, bile gialla, flegma –, il cui equilibrio determina lo stato di salute, getta le fondamenta della medicina occidentale. Ippocrate usa il termine karkinos (da cui carcinoma) per descrivere il tumore alla mammella che, con prolungamenti radiati simili a chele, ricorda la sagoma di un granchio.
«Nei santuari etrusco-italici, dal IV fino al II sec a.C. – osserva Alfonsina Russo –, ritroviamo molti ex voto anatomici a forma di mammella, generalmente appartenenti alla sfera riproduttiva, come protezione
di fertilità. Ma alcuni esemplari tipologicamente piú rari, come le mammelle doppie, appartengono alla sfera della sanatio, e si distinguono per la minuta raffigurazione di uno stato patologico, probabilmente dovuto
al ragadismo, o forse al tumore».
I medici di epoca romana identificarono in effetti vari tipi di cancro. Celso (25 a.C.-45 d.C.), attivo al tempo di Augusto, riconosce persino le metastasi e il coinvolgimento dei linfonodi nella diffusione della malattia.
E Galeno (129-200 d.C.), grazie alle acquisizioni scientifiche sull’anatomia ottenute dai medici alessandrini – anche con metodi vietati, come la vivisezione dei carcerati –, fornisce la prima vera descrizione di un tumore mammario. Introduce il termine sarcoma, per indicare i tumori carnosi, oggi detti tessuti molli.
«Nel 2019 un team di archeologi della Sapienza Università di Roma, guidati da Domenico Palombi – racconta Alfonsina Russo – ha portato alla luce, sotto la basilica di Massenzio, proprio il celebre laboratorio di Galeno di Pergamo, che arrivò a Roma alla metà del II secolo d.C. e, divenuto medico di corte, si distinse anche per aver salvato la famiglia imperiale dalla grande peste che, tra il 160 e il 190, aveva decimato la popolazione. In veste di medico dell’imperatore, Galeno utilizzava una apotheca, probabilmente situata sulla via Sacra, presso gli Horrea Piperataria, i magazzini in cui venivano stipate le spezie provenienti da tutti i
domini dell’Impero, usate per la preparazione di droghe e pomate. Sappiamo che Galeno frequentava questi magazzini, dove si potevano acquistare farmaci, composti già pronti e materiale chirurgico, come i lacci emostatici e da sutura. Intorno a questa zona, presso il tempio della Pace, lo stesso Galeno testimonia lo svolgimento di dimostrazioni anatomiche, spettacoli piuttosto forti, ma molto apprezzati dal pubblico colto: la
dissezione e la vivisezione animale. Il laboratorio del famoso medico con tutti i suoi tesori, preziosi libri e aromi, bruciò alla fine del 191 d.C., nall’incendio che distrusse la città, dal Foro della Pace fino al Palatino».
Ancora a proposito del cancro alla mammella, Galeno osservava che raramente venivano colpite da questa malattia le donne vivaci. Una tesi già sostenuta prima di lui da Ippocrate, il quale affermava che si ammalavano di cancro le persone melanconiche. Queste antiche convinzioni oggi trovano dimostrazioni scientifiche.
«Dati sempre piú robusti nella letteratura scientifica – spiega il professor Masetti – confermano che uno stato permanente di malessere psichico o di stress cronico negativo può concorrere allo sviluppo o alla progressione sfavorevole di un tumore. Lo stress cronico può ostacolare i processi di riparazione del DNA, inibire l’attività di alcune cellule del sistema immunitario e ridurre la resistenza dell’organismo ad alcuni oncogeni, favorendo cosí la trasformazione delle cellule sane in cancerose».
Aezio di Amida (502-575 d.C.), medico alla corte di Giustiniano, ci fornisce la prima stupefacente illustrazione tecnica di una mastectomia, eseguita secondo il metodo di due talentuosi medici greci dell’epoca, Leonida e Sorano.
«Ieri come oggi – osserva Masetti – il talento del chirurgo si avvicina a quello dell’artigiano, e si esprime a livelli piú o meno alti anche in relazione a qualità innate di creatività e di estro di cui l’artigiano può essere piú o meno dotato. Nel caso dell’artigiano-chirurgo, a queste doti se ne aggiungono altre: la prudenza, il buon senso, la lucidità e la capacità di individuare rapidamente soluzioni adeguate nell’affrontare situazioni d’emergenza».
Dobbiamo constatare come l’evoluzione dell’arte chirurgica nel passato non sia stata il frutto di un processo evolutivo lineare, bensí un susseguirsi di apogei e declini.
Cosí appare decisamente poco talentuosa, rispetto a quella descritta da Aezio di Amida, la singolare e cruenta tecnica di mastectomia effettuata circa mille anni dopo da Johannes Scultetus, umanista chirurgo di Stoccarda (1595-1645): per favorirne l’amputazione, la mammella veniva dapprima trafitta e poi sottoposta a trazione con una corda; non meno feroci gli strumenti impiegati da Govert Bidloo (1649-1731), medico
anatomista olandese, che asporta la mammella dopo averla infilzata con un forchettone o con uno spadino.
Seducenti principesse e grandi regine si sono ammalate di cancro. Atossa, per esempio, figlia di Ciro il Grande e moglie di Dario (VI secolo a.C.), soffriva di un tumore al seno che era riuscita a nascondere fino a quando non era diventato troppo voluminoso. Fu curata e guarita dal medico greco Democede.
Non fu altrettanto fortunata la regina di Francia e madre di Luigi XIV, Anna d’Austria, che andò incontro a una atroce e staziante agonia per un tumore avanzato alla mammella: quando entrò in gangrena, i medici asportavano giornalmente la carne infetta dal seno malato e Anna – si scrisse – sopportava tutto con pazienza e dolcezza ammirevoli!
Quasi sempre idealizzato nei capolavori dei grandi artisti, troviamo tuttavia alcune opere del Rinascimento che rappresentano il seno femminile nella sua imperfezione. È il caso della Notte di Michelangelo posta sul
sarcofago della tomba di Giuliano de’ Medici nella Sagrestia Nuova della chiesa di S. Lorenzo a Firenze. La scultura evidenzia i segni fisici di un tumore alla mammella: la rientranza, il gonfiore del capezzolo e il bozzo. Cosa voleva trasmettere Michelangelo scolpendo il seno malato? Poiché la statua doveva fornire l’immagine del tempo che logora tutto, gli studiosi ritengono che proprio per questo motivo l’artista scelse di utilizzare i segni di una malattia che lentamente logora e irrompe nel corpo. E lo stato malinconico del personaggio – già descritto dal Vasari – conferma la convinzione dell’epoca in cui si pensava che tale stato d’animo predisponesse al cancro.
Daniela Fuganti
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