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Cosa fare dopo la diagnosi


 

Sentirsi dire dal medico che si ha un tumore del seno rappresenta una esperienza traumatica per qualsiasi donna. Lo shock è molto forte e di solito innesca una girandola di emozioni che possono andare dalla incredulità, alla paura, alla rabbia, alla frustrazione, al senso di impotenza ed alla depressione.

È come ricevere all’improvviso un violento pugno, che mette a dura prova anche gli equilibri più stabili.

I primi giorni dopo la diagnosi sono certamente i più difficili: le normali capacità mentali sono come bloccate e si fa una gran fatica a ragionare con calma o capire molte delle cose che ci vengono dette, proprio quando, al contrario, servirebbe di essere lucidi e nel pieno possesso delle proprie facoltà.

L’obiettivo più importante in questa fase deve essere quindi quello di ristabilire un controllo sulle proprie emozioni e recuperare il prima possibile un buon equilibrio mentale.

A piccoli passi.

Consigli per te e per chi ti sta accanto

Dott.ssa Marinella Linardos
Psicoterapeuta e psiconcologa della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, di Roma.

 

La paura più grande da cui si viene assaliti è quella di poter morire in tempi brevi. Ma la diagnosi di tumore del seno non equivale affatto ad una sentenza di morte. Oggi, oltre il 70% delle donne che si confrontano con questa malattia guarisce e tale percentuale sale ulteriormente se la malattia viene identificata in fase precoce. Solo in Italia, ci sono più di 300.000 donne che anni fa hanno ricevuto la diagnosi di tumore del seno e che oggi vivono una vita serena e produttiva.

Un’altra preoccupazione che spesso si avverte è quella di perdere tempo prezioso. Viene istintivo chiedere al chirurgo di procedere all’intervento il prima possibile, pronte a qualsiasi sacrificio pur di rimuovere il tumore. Ma non è la reazione più saggia. Il tumore del seno, infatti, non costituisce una emergenza medica, come l’infarto o la peritonite, e ci si può concedere un periodo di tempo adeguato (anche 3-4 settimane) per acquisire le informazioni e le conoscenze necessarie a ritrovare il proprio equilibrio e prendere decisioni più consapevoli riguardo al trattamento.

Imparare a chiedere aiuto agli altri è importante quanto riceverne. Familiari ed amici possono essere una fonte importante di sostegno, ma non sempre sanno essere presenti nella maniera giusta. Si può rompere il ghiaccio facendo una lista di cose semplici che possono o devono essere delegate, piccole incombenze quotidiane (come fare la spesa o accompagnare i figli a scuola) che costano poca fatica a chi desidera aiutarvi, ma che risultano molto preziose per recuperare energie e tranquillità quando si è impegnate a tempo pieno con la propria salute.

Anche incontrarsi con donne che hanno vissuto (o stanno vivendo) la stessa esperienza è molto utile in questa fase. Aiuta a superare il senso di paura e solitudine che spesso si prova ed è anche un buon modo per acquisire, da pari a pari, le informazioni necessarie a partecipare meglio alle terapie. Alcuni ospedali offrono la possibilità di partecipare a gruppi di supporto, dove è possibile condividere le proprie emozioni ed esperienze con altri che sicuramente le capiscono. I gruppi di supporto possono essere autogestiti dalle donne che vi partecipano o animati da uno psicologo. Si parla delle proprie esperienze, si confrontano le reazioni individuali, ci si scambiano informazioni e si svolgono insieme attività di vario tipo – incontri con esperti, fisioterapia, training autogeno, ma anche attività aggregative o ricreative finalizzate alla riscoperta e rivalutazione di sé e del proprio corpo (artigianato, laboratori teatrali, discipline orientali, etc.).

Con maggiore frequenza oggi si possono trovare gruppi di supporto nelle strutture sanitarie o presso associazioni di volontariato. Chiedete al vostro medico quali servizi ed organizzazioni per il supporto delle donne operate di tumore del seno sono presenti nelle strutture sanitarie che frequentate.

È fondamentale, in questa fase, riuscire a scaricare le tensioni, senza preoccuparsi troppo di come ciò avvenga. Non c’è una reazione giusta o sbagliata e quindi va bene piangere, gridare, arrabbiarsi o sfogarsi nel modo che viene più spontaneo.

Poiché ogni esperienza di malattia è assolutamente personale, è importante anche cercare di comprendere meglio le emozioni che si sono scatenate: intendere i propri bisogni è il primo passo per decidere cosa è meglio per sé stesse e per avviarsi con spirito positivo nel percorso di cura.

Il tutto risulta più facile se si riesce a trovare qualcuno con cui parlarne. L’ideale è avere vicino una persona matura, che sia in grado di ascoltare senza giudicare e senza voler ad ogni costo minimizzare il problema.

Si può anche tenere un diario scritto delle proprie sensazioni, provando eventualmente a rispondere a queste domande:

  • Cos’è che mi fa più paura di questa nuova situazione?
  • Quali delle mie attività abituali mi risultano più difficili ora?
  • Quali situazioni mi mettono più a disagio o mi fanno sentire più in crisi? Cosa posso fare per evitarle?
  • Cos’è che riesce a darmi soddisfazione o farmi star bene in questo momento?
  • Quali sono le mie nuove priorità?
  • Come posso perseguirle in modo efficace?
  • Cosa posso delegare per concentrarmi sulle mie nuove esigenze?
  • Chi mi può aiutare? Su chi posso contare?

Saperne di più sul tumore del seno aiuta ad affrontarlo meglio. Sebbene in un momento così difficile si possa avere la tendenza a delegare tutte le decisioni e le responsabilità al proprio medico od ai propri familiari, è importante invece partecipare in modo attivo e positivo al proprio processo di cura. Così facendo si riesce generalmente a tenere meglio a bada l’ansia e la depressione ed a recuperare più in fretta una buona qualità di vita.

Per migliorare le proprie conoscenze sui tumori del seno, oltre a chiedere informazioni al proprio medico, si possono consultare opuscoli come questo, libri divulgativi, siti internet, organizzazioni ed associazioni impegnate nella lotta ai tumori del seno o parlare con altre donne che hanno vissuto questa esperienza prima di voi.

Tenete presente però che lo stato di tensione emotiva in cui vi trovate può rendere l’apprendimento più difficoltoso. Attenzione quindi a non strafare nel tentativo di raccogliere più informazioni di quelle che sì è in grado di gestire. Si rischia altrimenti di sentirsi confusi dai troppi concetti nuovi o dai termini medici sconosciuti.

È preferibile assorbire le nuove informazioni poco alla volta, tenendo da parte quelle che risultano più faticose per un secondo tempo. Non esitate a porre domande al vostro medico, a chiedergli ulteriori chiarimenti o a esprimergli le vostre preoccupazioni e se vi sembra di non aver capito bene qualcosa … chiedetelo di nuovo!

Spesso è utile scrivere un elenco di tutte le domande da porre al medico e, a fine visita, ripetergli le risposte per esser certi di aver chiarito tutti i dubbi; oppure farsi accompagnare alla visita da un familiare o da un’amica in grado dì ricordare esattamente le informazioni ricevute.

Poiché il tumore del seno non è una malattia che si cura in pochi giorni, è molto importante scegliere con attenzione il medico (o i medici) che saranno responsabili del trattamento. Il consiglio è di dare la preferenza ad un medico che sia non solo competente ma anche in grado di mettere a proprio agio nel parlare e nel porre domande e che trasmetta una adeguata fiducia. È importante anche che tale medico operi in una struttura clinica appropriata, in grado cioè di garantire degli standard di qualità elevati sia per quanto riguarda la diagnosi che il trattamento dei tumori del seno (attrezzature tecnologiche adeguate ed aggiornate, presenza di specialisti nelle varie discipline coinvolte, etc.).

Chiedete suggerimento al vostro medico di famiglia riguardo ad uno specialista a cui affidarsi o all’esistenza nella vostra zona di centri specializzati nel trattamento delle malattie del seno. Prima di fare una scelta definitiva è sempre bene sentire il parere di più di uno specialista. Non è sempre facile riuscire a capire subito se lo specialista che avete davanti è davvero quello che fa al caso vostro.

L’amica è chiamata ad interrogarsi su quali sono stati, fino a quel momento, i punti di forza di quell’amicizia. Prima di infondere qualcosa occorre interrogarsi su se stessi e avere una percezione quanto più chiara dei propri limiti e delle proprie risorse. Rimanere in ascolto di se stessi. L’eccessiva preoccupazione per la positività da infondere a tutti i costi toglie valore all’esperienza che l’amica ammalata sta attraversando perché la defrauda da quei sentimenti di paura e di tristezza che sono in parte inevitabili. Lasciamo essere chi si ammala così come si sente di essere. Per un legame d’amicizia è un’occasione d’autenticità.

Non è possibile generalizzare, per ogni donna ogni fase può assumere un significato diverso, certamente ogni fase presenta delle caratteristiche specifiche, dallo shock iniziale della diagnosi alla grande concentrazione psico-fisica durante le terapie fino alla fase di rielaborazione al termine delle cure che spesso può essere scambiata per depressione ma non lo è, nella maggior parte dei casi. Si tratta invece dell’inevitabile tristezza al servizio dell’esame di realtà di quanto accaduto.

Il percorso di cura è un processo lungo e complesso, cambiano gli stati emotivi e fisici della donna ammalata, pertanto alla persona amica è richiesto di sviluppare una sensibilità particolare di comprensione fase per fase. Quasi tutti sanno stare molto vicino nelle fasi iniziali della malattia mentre nel tempo si va incontro ad una sorta di assuefazione. Purtroppo è proprio in questa fase di ritorno alla vita “normale” che la donna può sentirsi più sola. È il momento dei bilanci: certe amicizie si rafforzano, altre possono allentarsi fino alla rottura in qualche caso. In situazioni del genere, bisogna saper rimanere in ascolto di se stessi prima ancora che dell’altro. Si può essere catalogati tra le amicizie deludenti e non necessariamente per proprie oggettive insufficienze, forse, molto semplicemente, l’amicizia si basava su presupposti molto diversi da quelli necessari in momenti come questi.

La donna che si ammala è in cerca di una “nuova normalità” che va riconquistata durante e dopo la malattia, l’amica può essere estremamente utile nel provvedere a mantenere quella familiarità e quel senso di identità che rimangono immutati anche dopo un cambiamento cosi forte. In fondo la malattia, qualunque malattia importante, non fa che aumentare il bisogno che tutti gli esseri umani hanno di sentirsi davvero amati e insostituibili e di comprendere quanto contano davvero certi rapporti. L’autostima, cioè la valutazione e l’approvazione di se stessi, primariamente si poggia su questo amore che viene dall’altro.

La domanda di guarigione che la donna richiede allo psicoterapeuta o al medico durante il percorso oncologico è, al fondo, sempre una domanda d’amore. Non credo che i sanitari siano sufficientemente coscienti di questo. L’amore che salva tocca i livelli più primari della nostra affettività, quelli legati alle forze che ci hanno tenuto in vita nelle prime fasi della nostra esistenza. A questo livello, l’amore è terapia. E viceversa. Sento però di aggiungere che il termine terapia è molto inflazionato, sembra che qualunque attività piacevole oggi sia considerata terapeutica, da una passeggiata all’andare al cinema. Terapia significa lavoro, dolorosa interrogazione su se stessi nel rapporto con un altro, con la realtà. Non è l’amore il fine della terapia, né tantomeno uno stato transitorio di ben-essere quanto l’emergere di alcune verità su se stessi.

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