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Simona Lavazza
1 Febbraio 2016
Fino al 2002 per me il BRCA1 era il nome di un composto chimico o l’acronimo di un qualche ente pubblico. Angelina Jolie lo avrebbe portato alla ribalta qualche anno dopo, ma io, da brava costumista, so anticipare le mode e scopro di avere questa mutazione genetica nel 2002. Quando sei giovane non pensi alla malattia e alla prevenzione e per me, infilare un costume da nuoto, ha rappresentato lo spartiacque, un prima e un dopo definitivo della mia vita. Avevo 33 anni, un tumore, 2 bambine di 2 e 3 anni, una madre disperata e un marito medico incapace di gestire la mia malattia. Nel giro di 20 giorni la mia vita non era più la stessa: dopo la diagnosi, ero stata operata d’urgenza e ri-operata per un errore nell’istologico con la certezza di dover affrontare una terapia pesante, perché a chi ha 33 anni non si fanno sconti. Sono una sportiva da sempre, da ragazza avevo fatto canottaggio, avevo scoperto il tumore perché nuotavo, il mio primo pensiero è stato quello di non smettere. Lo sport era la mia risposta alla vita, quotidiana e normale che avrei voluto mantenere durante le faticosissime sessioni di chemio e radio terapia. Le bambine dovevano vedere una mamma attiva, presente, tutto doveva rimanere uguale a prima della diagnosi. Non è stato così, naturalmente, sono stata male, ma non ho mai smesso di correre. Fino al quarto mese di terapia ho messo le scarpette e via, per ribadire il fatto che al tumore non ci si arrende, si può indossare un paio di vecchie scarpe da corsa e rispondere così, senza fermarsi mai. Alla fine mi sono fermata :) ma solo per un po’, poi ho ripreso ad allenarmi. La diagnosi di BRCA1 è venuta un po’ dopo e lì sono stata oggetto di confronto e di studio tra chirurgi e oncologi: mastectomia preventiva sì mastectomia preventiva no. All’epoca non si era così convinti, forse oggi sarebbe diverso. Ho aspettato fino al 2011, quando le bambine erano più grandi e avevo divorziato da un compagno per il quale la mia malattia non era mai esistita (non mi aveva mai accompagnata né alle visite né alle sedute di chemioterapia). Nel 2011 decido di fare la mastectomia a sinistra, ma la vita, si sa, è spesso beffarda e nel 2012 grazie ai controlli scopro un nuovo tumore alla mammella destra. Paura? Disperazione? No, stavolta no. Primo perché sapevo tutto, stavolta mi trovava preparata. Un nemico che si conosce si combatte meglio. Poi perché i controlli lo avevano intercettato piccolissimo e avevo la speranza di non riaffrontare tutta la terapia. Terzo le figlie avevano bisogno di me e non ci si può lasciare andare alla disperazione. Avevo lo sport che mi aiutava, che mi ha sempre aiutato. Che ho preso, lasciato, ripreso come un fedele compagno ma che sta sempre lì, pronto a riaccompagnarmi per un pezzo di vita. Ho affrontato l’intervento serena e ho potuto riprendere a correre subito. Oggi corro appena posso, è la mia risposta alla vita. Lo faccio con mia figlia Alice che mi ha accompagnato alla Race for Cure perché sa, in quanto figlia di portatrice di BRCA1, quanto è importante la prevenzione. È quello che fa la differenza tra continuare e correre e fermarsi. Poi ho deciso di riprendere lo sport che praticavo da ragazza: il canottaggio. Remo sul fiume, lo faccio perché mi diverto e perché rappresenta la mia libertà, un uscita da quotidiano, dal lavoro che amo, ma mi impegna parecchio. E remando remando nel 2015 ho vinto i Master di canottaggio :) Chi mi conosce dice che sono come “una pianta del deserto” ho mille risorse, a questo rispondo sempre che ognuno ce le ha basta saperle vedere. Io le ho trovate e me le tengo strette, si chiamano Elisabetta, Alice, lo sport e la vita tutta intera :)