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Luciana Carnabuci
20 Ottobre 2016
Lento, pungente e sordo. Mi chiamo Luciana e sono fortunata. Ma se faccio rewind no… non è quello che pensavo. Nel 2011 alla formidabile, pazzesca età di 26 anni ero spensierata. Poi pioggia, neve, grandine. Tempesta. Ma come quella che vedi dalla finestra in pieno inverno, quella che non ti sfiora ma la senti rimbombare sul tetto di casa, sporcarti le finestre. Che poi in realtà non è nulla di tutto questo. Nessun paragone assurdo. Diciamolo seriamente. La malattia quando la incontri ti prende a schiaffi. Gratuitamente. Il resto te lo serve dopo, quando guarisci ti prende a schiaffi ancora perchè tu ti possa difendere. Si guarire, perchè a me è andata bene, perchè a me qualcuno mi ha tenuto la mano. E’ un ring, un sacco nero e tu sei brava se i pugni sono diretti e decisi. La verità è che io non ricordo nulla delle giornate su quella poltrona verde, di quelle sacche appese di un colore che nemmeno se trovo un bagnoschiuma simile lo compro. Avevo i capelli lunghi, ricci. Avevo tanti sogni e sognavo con gusto. Quando ho finito tutto e nel bagno di quella casa presa in affitto con mamma, papà e fidanzato mi guardavo quella taglia in più sul petto io non mi sentivo sola e depressa. Mi sentivo stanca ma rinata. Strano forse ma io mi sentivo nuova. Come uno spartito di musica classica suonato da un gruppo Rock. Tutto faceva Rumore, tutto faceva Timore, assordante ed ingombrante quanto quei chili in più che non avevo mai avuto. Come un clacson incessante dopo un colpo di sonno in autostrada la mia vita è cambiata, all’istante senza freni. Si chiama Sofferenza, è imponente e determinata ma io l’ho affrontata con l’unica forza che in quei momenti e che ogni giorno mi accompagna…il mio sorriso. Sentire il proprio corpo e non la mente. Comunicare con esso. Trasformare i dolori e le sofferenze in nuove sensazioni, in cadute che ti aiutino al salto, all’accettazione di noi stesse e di quella malattia che in qualche modo dobbiamo buttare via. La grinta di quei giorni, di quelli prima e quelli dopo la devo alla mia Mamma, al mio Papà, a mia Sorella, al mio grande Amore, al mio pelosotto Ruah, ai miei Amici. Ho ricevuto l’amore vero di quello che addirittura lo respiri e ne senti il profumo. Ognuno di loro è stato prezioso. Ognuno di loro è stato vincitore insieme a me. Grazie all’infinito e mai abbastanza. Grazie a tutti gli angeli del Policlinico Gemelli. “Come le nuvole di forma in forma”. Siamo forti. Fortissime.